The Times They Are a-Changin’

Una donna, giovane, africana e musulmana – tutti fattori di svantaggio per il senso comune – rappresenta per la prima volta l’Islam in una Commissione per le pari opportunità italiana ed è motivo di orgoglio che questo primato sia stato raggiunto proprio dalla Regione Toscana. Non possiamo non pensare a un altro primato storico, ormai entrato a far parte della nostra tradizione: nel 1786 la Toscana abolì la pena di morte, prima nel mondo. Ora invece il nostro paese appare piuttosto indietro fra le nazioni civili, tant’è vero che la notizia desta stupore. Eppure il curriculum di Nura Musse Ali, classe 1986, è di tutto rispetto: laureata e specializzata a Pisa in giurisprudenza, referente legale per l’Unione delle comunità africane presso la Regione, legale lei stessa e con l’aspirazione a entrare in magistratura.

Nura, di origini somale, è in Italia da 22 anni e dice di non riconoscersi pienamente né nella cultura di provenienza né in quella d’arrivo: “Se la cultura del Paese di provenienza rappresenta il degrado della ragione, la cultura italiana è ancora “bambina” verso l’immigrazione”. Così, Nura si sente “un tertium genus a tutti gli effetti, in attesa di costruire il suo Paese”. Ritiene significativo il fatto che per la prima volta la comunità islamica si faccia rappresentare a livello istituzionale da una donna, che tra l’altro non ha connotati esterni religiosi (Nura non porta il velo, come del resto non lo portano milioni di donne musulmane nel mondo) e si batte per arrivare a un’intesa tra Stato italiano e Islam, che, senza ambire a modificare i principi di questo, passi da una riforma dell’imamato italiano e dell’organizzazione amministrativa delle moschee e che preveda anche un percorso formativo specifico per gli imam italiani. Sul tema delicato delle mutilazioni genitali femminili, Nura vorrebbe da parte degli imam europei una condanna ufficiale e anche l’Italia dovrebbe rivedere la normativa introducendo la negazione della cittadinanza per chi le pratica.

Nura ribadisce che l’intesa avrà “un certo livello di italianità non solo perché l’ordinamento ce lo impone, ma perché noi musulmani siamo italiani. E non solo per il possesso o meno della cittadinanza. Essere italiani è una questione di animo, ancora prima che di sangue”.